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      - Aldi, avrà detto.
      - Sì, altri, e per tal segnale, che si portava la testa rasa, e che è da poco tempo che ci siam lasciati crescere i capelli. Si può dare una infamità peggio di questa?
      - Ma codesti testimoni c'erano o no? - domandò il conte.
      - Manca testimoni? se si trattasse di far mettere ancora in croce nostro signore, credete che non ne troverebbero? C'eran sicuro, testimoni che per una buccia di fico giurerebbero ogni falsità, i quali sono tutti ghibellini scomunicati, gente che ha già data l'anima al diavolo.
      - E così dunque?
      - E così, dopo che quel volpacchione ebbe finito, entrò a parlare anche il nostro avvocato Lorenzo da Garbagnate: disse chiaro e tondo che noi non si è vassalli nè altri dell'abate, e che è più di cent'anni che non si fa che pagargli il testatico, l'alpagio, le decime com'è giusto, e prestargli le opere al ricolto delle ulive e dei marroni, e fare i navoli e tutto quel che è dovere e null'altro, infine ha detto una certa parola, una parola stravagante che faceva per noi... Te ne ricordi tu, Arrigozzo?...
      - Di qualche cosa, - rispose il figlio, - mi ricordo che ha detto... come a dire d'un certo dritto... d'un dritto, che so io?... d'una certa roba che non ho mai sentito menzionare.
      - Avrà detto che non siete più servi per diritto di prescrizione, - suggerì il conte.
      - Giusto questo, proprio così, - sclamarono ad una voce padre e figlio.
      - Ditelo a me! che queste cose io le ho sulle dita.
      - Dunque per provarla questa discrezione, - tirava innanzi Michele, - il nostro avvocato mise fuori anche lui i suoi bravi testimoni, tutti i più vecchi del paese e dei dintorni.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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