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      - Un'ingiustizia, un'infamità di questa fatta, e noi bercela su in santa pace! - gridava un giovinotto di Limonta in mezzo ad un crocchio di suoi paesani.
      - Chè non vai a Bellano a offrirti per nostro campione? - gli rispondeva un vecchio, coi capelli e la barba bianca, il quale lo stava ascoltando colle mani appoggiate ad un bastone ferrato e il mento sulle mani.
      - Sì eh? me le conta belle qui il pastore, - rispondea quel primo; - battersi con lui eh? che è un mago, ed ha cucito nelle vesti certe erbe che gli fanno la pelle dura come... come la Grigna pelata.
      - Ha ragione Stefanòlo, è uno stregone che tutti lo sanno, - diceva un altro; - sono ben andati a pigliarlo fuori apposta perchè nessuno possa mettersi con lui, e così cavarci la pelle a man salva, quei cani paterini! che sono tutti d'accordo per istraziare la povera gente.
      - Una buona giustizia ci vorrebbe, - tornava a gridare il primo, e cominciar noi a farla in paese, prima che ci faccian perdere l'anima e il corpo.
      - Dice bene, perder l'anima e il corpo - soggiungeva uno della folla che stava intorno; - vedi che il lucifero va a messa, ora che a sentir messa è peccato mortale; e prima, quand'era di precetto, non se ne struggeva gran che; tutto per tirarci a perdere.
      - Fa di bisogno! che è sempre stato un eretico! - continuava Stefanòlo, - e chi l'ha conosciuto nei tempi addietro, l'ha visto scomunicato fin dal nostro arcivescovo di prima, e condannato a portar sempre tante crocette nere cucite sul mantello.
      - E il suo mestiere innanzi di venir qui a fare il boia sulla nostra pelle, era quello di far carte false, - gridava un nuovo interlocutore, - e l'ho visto io quando sono stato a Milano per Pasqua di Natale a portare al monastero i pesci del livello, l'ho visto io pitturato sulla muraglia del Broletto nuovo; e sotto vi era un cartello con su, dicono, il suo nome e cognome, e tutto.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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