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      Non ci patisce il cuore d'intrattenerci più a lungo in uno spettacolo di sì desolante pietà, e però abbandonando il misero barcaiuolo e la sua (se è possibile) ancor più misera donna, torneremo ai nostri personaggi che abbiamo lasciati a Varenna.
     
     
     
      CAPITOLO VI
     
      La notte furono alloggiati tutti alla meglio dal parroco del paese, al quale non parea vero d'aver nella sua povera casa ospiti di quella taglia, ed ebbe occasione d'invanirsene un pochino e di menarne poi vanto per un pezzo.
      Ivi, a Varenna voglio dire, trovavasi ancora il Pelagrua, messo in mezzo alla via, come suol dirsi, senza roba, senza danari, senza un appoggio, senza un assegnamento al mondo; forzato a sbrattar tosto del paese, dove tutti lo conoscevano e gli volean bene come al mal di capo, ridotto insomma al partito d'un cane scacciato dal padrone. Il tristaccio venne la mattina tutto raumiliato, almeno al di fuori, a raccomandarsi pigolando al curato di Limonta, che per carità volesse perdonargli tutto il male che gli aveva fatto, e il di peggio che gli avrebbe voluto pur fare nel tempo addietro, ed aiutarlo in tanta necessità a trovare un qualche compenso al suo caso mezzo disperato.
      Il buon prete ebbe compassione non tanto di lui, al quale un po' di penitenza sarebbe stata pur bene, quanto della sua donna, e del suo innocente bambino; e però gli promise che l'avrebbe raccomandato al conte del Balzo, quantunque, per dir vero, non isperasse d'averne a cavare un grande aiuto. Ma per fortuna di quel mariuolo, quando il curato entrò dal Conte trovollo in compagnia della figlia e di Ottorino.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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