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      Ma da che Ottorino trovavasi al castello, veniva a poco a poco succedendo in lei un notabile cangiamento anche su questo particolare. Ermelinda con quella sua aria fredda, con quelle parole ora d'ammonizione, ora di rimprovero, la teneva in rispetto, le aduggiava, dirò così, le impigliava penosamente l'animo, tutto pieno d'una vita novella, d'un senso sconosciuto, che la portava alla confidenza e all'abbandono. Il nome del giovane, che soleva empirla tutta di gioia ripetuto dalla bocca del Conte, la faceva palpitar di terrore se lo sentiva profferir dalla madre; però sfuggiva a tutto suo potere di lasciarsi coglier sola da lei, e non è maraviglia se sentisse scemar di giorno in giorno quel grande amore che le aveva sempre portato. Che più? sorprendendo qualche volta nel suo cuore un certo fastidio troppo oltraggioso, in alcuni momenti fantastici di ritorno alla prima filiale svisceratezza, se ne spaventava essa medesima, se ne rimproverava amaramente, e faceva mille belle risoluzioni, che non aveva poi la forza di mantenere.
      Durava da più giorni questo combattimento, quando giunse al castello un messo di Marco Visconti, al ricever del quale Ottorino annunziò che fra due giorni era aspettato a Milano.
      A Bice pareva un sogno; non sapeva propriamente persuadersi ch'egli avesse a partir davvero; trovava così dolce lo starsi con lui! quando ne era divisa pensava che fra due, fra tre, fra quattro ore l'avrebbe riveduto; quel pensiero l'occupava, la consolava in tutto quel tempo; le ore passavano e Ottorino ricompariva: ma quando se ne fosse ito? che fare in tutta la giornata, in quelle lunghe sere?


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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