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      L'ancella, che avea scoperto il segreto del cuore della sua padroncina, le veniva con maliziosi avvolgimenti parlando di Ottorino, e tribolandola lievemente con motti coperti, dei quali Bice voleva pur mostrare di offendersi, e vi sarebbe riuscita al di là di quello ch'ella stessa si proponeva, se la fiamma che le chiamavan sulle gote quelle parole, avesse potuto esser attribuita a turbamento di sdegno piuttosto che di verecondia. Rassettati i capegli, Lauretta mettea mano a svestirla, quando s'intese bussar leggermente all'uscio e venir dentro la voce di Ermelinda che diceva: - Apri, son io. Lasciami con lei, - disse quindi all'ancella che era corsa ad aprire; e questa chinando il capo si ritrasse in una camera vicina.
      Bice rimasta sola colla madre, avrebbe voluto sprofondarsi sotto terra per la confusione, ed abbassando il volto aspettava quel che fosse per dirle.
      - Veggo che la mia presenza non t'è molto gradita, - cominciò Ermelinda, - e me ne duole, me ne duole per te, figlia mia.
      La fanciulla si fece forza per rispondere, ma la voce era soffocata, balbettò confusamente qualche parola senza senso e si tacque.
      - Non ho mai creduto che tu avessi a spaventarti di tua madre, - seguitava questa; - è vero che già da un pezzo mi sono dovuta accorgere che ti sei mutata da quel che eri con me, che non mi vuoi più il bene d'una volta; ma ch'io t'abbia a far tremare! questo è troppo, ed è troppo gran dolore per chi ti ama tanto.
      - Io non tremo; per che cosa ho da tremare? - rispose vivamente la fanciulla, a cui la stizza del vedersi côlta in quel turbamento aveva restituito un po' del naturale vigore del suo carattere.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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