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      - Bice!... tu rispondi con tanto dispetto? - disse la madre con voce risentita: ma poi, come se non potesse reggere ad un impeto improvviso, prese una mano della figlia, e proseguiva: - Senti, mia cara, non parlar così a tua madre; credi tu ch'io possa aver altro pensiero, altra cura al mondo che quella di vederti contenta? non ho altro bene che te! sei l'unica mia consolazione. Oh! se tu potessi comprendere il dolore ch'io provo ogni volta che mi veggo nella necessità di doverti contrariare! ma bisogna pure che lo faccia, quand'è il mio debito, e il tuo migliore. Ti ricordi, cuor mio, di quand'eri piccioletta che fosti tanto malata, e un dì piangevi e piangevi per voler del latte: pensa s'io mi sentiva dar nel cuore, ma il latte non te lo diedi, chè ti sarebbe stato micidiale. Allora nella tua testina chi sa che cosa avrai detto, ma adesso capisci ben anche tu...
      - Alla fine a che volete riuscire? - domandò Bice, mezzo commossa e mezzo incollerita della stessa sua commozione.
      - Voglio riuscire a questo... Ma via, non guardarmi con quegli occhi sgomentati; no, la mia cara figlia, tu non udrai una parola amara dalla bocca di tua madre; vieni qua, ascoltami con calma e con amore, com'io prometto di parlarti. Ottorino parte domani...
      La fanciulla al profferir di quel nome si sentì gelar tutta quanta; pure facendo forza a sè stessa, colla maggior indifferenza che potè pur mostrare al di fuori, rispose: - Sì, lo so, ma questo che mi fa a me?
      - Più che non vorrei per la tua e per la mia pace, - rispose Ermelinda con un accento severo, - via, non infingerti, non creder di poterti celare a chi ti legge nel cuore.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





Bice Ermelinda