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      Ma chi avesse osservato quel volto al sopravvenire dell'ira trasfigurarsi in un tratto; il pallore abituale smarrire in una smortezza più cupa, la fronte corrugarsi, farsi scuri gli occhi e brillare d'un lampo sinistro, gli sarebbe parso di vedere la superficie liscia e tranquilla d'un lago, quando un gruppo di venti la percuote d'improvviso e vi suscita la tempesta.
      Aveva indosso un robone di velluto nero aperto dinanzi e foderato di vaio, con sotto una veste di seta, stretta in cintura da una fascia, con un ricco fibbiaglio d'oro, e nella cintura un pugnale largo col manico tempestato di rubini; uno di que' pugnali che si chiamavano allora misericordie, perchè atterrato che fosse il nemico, serviva a spacciarlo, dandogli, come si dice, il colpo di grazia.
      Il capo lo portava scoperto, e si vedevano i capelli neri, divisi su la fronte ampia e maestosa, discendergli ugualmente dai due lati sino al confine dell'orecchio, segnando i contorni del viso.
      Quando ei vide Ottorino che entrava, gli fece un cenno colla mano, invitandolo a sedersi, e gli disse: - Un momento e son da te; - quindi s'accostò al segretario, il quale con la penna sospesa guardava in volto il suo signore, e faceva atto di volersi ritirare: - No, no, - gli disse, - andate pure innanzi, qui il mio cugino ha da sapere ogni cosa, - e continuava dettando le ultime frasi d'una lettera da mandarsi a Bologna al legato del papa. La lettera era nel rozzo latino di quel tempo, e le parole che la chiudevano, quelle che furono intese da Ottorino, tradotte come ci vien fatto, suonano così:


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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