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      Bice, commossa più che nol fosse mai stata dall'aspetto di tanti oggetti sì cari che abbandonava per la prima volta, volgea con una gioia paurosa il pensiero all'avvenire verso il quale innoltravasi, e di tanto in tanto dava indietro qualche occhiata all'antica torre del castello di suo padre, per mandarle ancora un saluto, quasi presaga che non avea più a rivederla.
      Giugnendo i nostri al ponte della Malpensata sul Lambro, scontrarono due pescatori di Vassena, i quali nel tornar da Monza col danaro cavato dalla pesca della settimana, erano stati rubati in quelle vicinanze. Uno di essi, raccontata che ebbe la sua disgrazia, disse al Conte che avea una lettera per lui, la quale pure gli era stata portata via dai ladri col farsetto.
      - Di chi era? - domandò questi.
      - Di chi fosse nol so, - rispondeva il pescatore, - a me, me l'ha data il figlio qui del vostro falconiere sul mercato di Monza.
      - Lupo era dunque a Monza?
      - Sì, era là in compagnia di quel cavaliere... di quel bel giovane che stette tanto tempo al vostro castello.
      Bice si risentì tutta, ma non fece atto che mostrasse il suo turbamento; solo che quando la brigata fu per rimettersi in cammino, ella disse alla madre, accennando i due pescatori: - Povera gente! non avran pane pel loro figliuolini; ch'io dia loro qualcosa?
      - Dagliene in nome di Dio, ch'ell'è carità fiorita.
      La fanciulla trattasi da lato una moneta d'oro la porse a quello dei due che avea dette quelle tali parole. - Mezza per uno, e pregate il Signore per noi.
      L'ultima volta che si è parlato di Ermelinda e di Bice, le lasciammo imbronciate, chè la madre tenea favella alla figliuola per quella scappata d'esser ita alla caccia contro il suo avviso; e questa incaparbita stava sulle picche e sui dispetti.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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