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      Ma la fanciulla non potè sopportare a lungo la sostenutezza più accorata che severa della genitrice, e il secondo dì dopo che Ottorino fu partito, tutta commossa, le raccontò come si fosse condotta a disobbedirle contro la sua intenzione, in modo ch'ella stessa non sapea come fosse avvenuto; e le si aperse tutta quanta fino a mostrarle la lettera da lei trovata tra i fogli del Dante.
      Ermelinda la lesse. Ottorino confessava in quella d'essere per verità in qualche trattato di nozze colla figlia di Franchino Rusconi, ma non però tanto innanzi colla sua parola, ch'ei non si credesse di poterla ripigliare onestamente: che ormai era risoluto e fermo di non voler altra donna se non lei (Bice, alla quale la lettera era diretta): le si scusava della sconvenevolezza, se avea preso animo di scriverle prima d'averla richiesta a' suoi parenti, assicurandola che l'avrebbe fatto tosto che avesse potuto sperare di non esserle sgradito,
      Ermelinda promise coi più affettuosi modi alla figlia che avrebbe fatto ogni opra per renderla contenta; l'esortava però a non isperar troppo, potendo darsi che non fosse sì agevole, come al giovane parea, lo stornare quella pratica, che, per quanto dicevasi, era stata menata da Marco; un signore disdegnoso, non uso mai a vedersi contrariato; il quale oltre a ciò avea già delle antiche cagioni di cruccio contro la loro casa. Infine le raccomandava che si lasciasse governare: al che la fanciulla le avea dato parola che non sarebbe uscita punto dalla sua obbedienza.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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