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      - A proposito di Firenze, - disse Marco per troncare il discorso, - tu mi fai ricordare che stanotte ho da scrivere a quella Signoria. Cugino, Iddio ti dia bene.
      - Addio dunque, - rispose Lodrisio, e se ne andò.
      Marco, rimasto solo, seguitò un pezzo a misurare in lungo e in largo la camera a passi concitati, e colla testa bassa: di tanto in tanto crollava il capo e faceva un atto colla mano, come se avesse voluto levarsi d'attorno qualche cosa che gli desse noia: si fermò alla fine risolutamente su i due piedi, e disse ad alta voce, quasi imponesse a sè medesimo un comando: - Bisogna scrivere alla Signoria di Firenze. - Allora si sciolse dal fianco la spada per mettersi a suo agio, e l'appese alla parete: ma nel pigliare il ferro per l'elsa gli venne visto il favore di Bice; quel nastro ricevuto da lei ch'egli vi aveva allacciato, lo stette guardando un momento, poi ne ritrasse gli occhi pressochè sdegnoso: accostossi al tavolino, spiegò un foglio di pergamena, scoperchiò il calamaio, v'intinse la penna, e provato ch'ella rendeva grosso, si diede a racconciarne il taglio; ma volta e rivolta, fendi e riseca, il cervello gli andava gironi; quando Dio volle si risentì, come uno che s'accorgesse in quel momento di quel che sta facendo e di quello che ha in animo di fare, gittò via quel mozzicone di penna che si trovò fra mano tutto sciupato, ne pigliò una intera, la temperò bravamente, e si mise a scrivere.
      - Nobilibus dominis, sapientibus etc. et Comuni Florentiæ, amicis diligendis precipue, Marcus Vicecomes cum sincera dilectione, salutem.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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