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      Pensate se il Conte gongolava, se scoppiava dalla gioia, dall'enfiamento di poter predicare tutto il dì a un'udienza attenta e ossequiosa, e per giunta, di far delle conversioni.
      E parlando di queste conversioni, bisogna che in tutta fidanza, e a quattr'occhi, mettiamo a parte il lettore d'un altro segreto. Esse non erano per lo più il frutto della dialettica dell'oratore, ma d'un'altra dialettica più forte, più stringente, che veniva ogni dì colle lettere di Toscana, le quali davano la causa dell'antipapa Pietro da Corvara come spacciata del tutto, e annunziavano che rifioriva più sempre il credito del pontefice Giovanni: e un'altra specie d'argomento ad hominem, che soleva andar in volta e produrre miracoli sulle menti dei più ostinati, veniva dalle casse di Marco, sempre ben fornite di danaro e sempre aperte. Alle volte dopo una resipiscenza fatta a mano, il convertito, se era persona che godesse credito di dottrina, o di checchè altro, veniva ammesso a veglia in casa del Balzo, e là, dopo d'aver battagliato per un pezzo col padrone in favore di opinioni già rinnegate, mostrava alla fine di rendersi alla forza delle ragioni contrarie, e col peso della sua autorità trascinava seco i più semplici.
      Era furberia di quella fina per quei tempi rozzi e feroci più che maliziosi; ai nostri giorni, che gl'ingegni si son tanto assottigliati nell'arte maravigliosa di trappolare il prossimo, la sarebbe una scempiaggine, una gherminella da donnicciuole e da fanciulli.
      Tornando ad Ottorino, egli, che avea nominato il Conte, per farsi strada a parlar della figlia, al finir delle parole che toccavano la conversione del frate, vide trapelar sul volto di Marco un raggio di quel riso interno che abbian detto di sopra, un riso di compiacenza passeggiera pel riuscirgli a bene delle sue arti: lo vide e se ne rincorò; l'altro rannuvolandosi tosto, gli disse con un'aria di scherno mal dissimulato:


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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