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      Al di dentro era una cameraccia non ammattonata, col palco ingraticolato e le muraglie tutte nere dal fumo.
      Si vedeva in un canto un letticciuolo coperto d'una grossa e ruvida coltre, di quelle che si chiamavano catalane, dalla Catalogna d'onde venivano; nome che conservano ancora in alcuni paesi del lago di Como: era quello il giacitoio del povero Arrigozzo, e in quel momento vi dormiva sopra un barboncino, il suo cane fedele.
      A pie' del letto, alla distanza di non più di due passi, stava un cassone massiccio, ripieno di terra, dentro il quale, secondo l'uso comune a quel tempo per tutta l'Europa (perocchè era ancor fresca l'invenzione dei camini) si faceva il fuoco, e v'era posto un laveggio a bollire sopra un treppiede; più innanzi, e proprio nel mezzo della camera, sorgeva un desco di faggio: quattro seggiolette impagliate, una mezza dozzina di remi, una rastrellieretta a piuoli appiccata al muro, sulla quale erano messi in parata alcuni piattelli, tre scodelle di terra e tre cucchiai d'ottone luccicanti come un oro; una cassa, una fiocina e un bertovello compievano il mobile di tutta la casa.
      Seduta vicino al desco, sotto una lucernetta di ferro attaccata con un uncino ad uno staggio pendente dal palco, stava filando la vecchia Marta, la madre dell'annegato. La faccia piuttosto asciutta che scarna, segnata di poche rughe, il portar diritto della persona, il movere risoluto delle membra, mostravano in lei una natura valida e rubizza, che le fatiche e i disagi d'una povera vita non avevano domata.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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