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      Allora si venne in chiaro dello scaltrimento del villano, come essi lo chiamavano; si capì che nella cantina dovea esservi appiattata gente; anzi se ne rinvenne una prova materiale, come dicono; si trovò un giaco e una soprasberga che uno degli uccisori del Bellebuono avea lasciato giù per nascondersi sotto l'armatura di quel ribaldaccio, e capitar così travisato addosso ai soldati del Monastero con quel garbo che abbiam visto.
      La rabbia, lo scorno di quei furfanti dolorosi, è facile figurarselo: - Ah villan traditore! - dicevan essi colla schiuma alla bocca: - se ci dài nelle mani!... - Sì, ma il villan traditore è costì che cova; egli s'è messo in sicuro colla sua donna, come si son messi in salvo chi qua chi là tutti gli scampati da quella tremenda notte.
      Le sessanta lance stettero ancora quattro o cinque giorni a Limonta sfogando la loro rabbia su quelle grame case, su quei poveri campi; ma poi, travagliati anch'essi quei manigoldi dalle scorrerie dei profughi comandati da Lupo, si rimbarcarono finalmente per Lecco, non senza aver lasciati indietro otto o dieci dei loro a ingrassare i campi che avean devastati.
      La novella di questo avvenimento giunse a Milano, e venne all'orecchio di Marco Visconti appunto la sera del giorno in cui egli avea fatto con Ottorino quella cavalcata, di cui abbiam reso conto di sopra; giorno torbido e nero per lui fra quanti ne avesse avuti mai.
      Capitò al suo palazzo l'abate di Sant'Ambrogio sbuffando, e gli fece la relazione di tutta la faccenda.
      L'abate di Sant'Ambrogio, fratello, come abbiam detto, di Lodrisio Visconti, era tutto devoto di Marco, il quale si serviva del suo credito, e proponeva di servirsi delle forze del convento pe' suoi fini, che il lettore conosce, ma che erano ignorati affatto dall'abate, messo in mezzo e levato su anche dal suo stesso fratello.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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