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      - pensava, - non fa altro che piangere e lamentarsi; questo che vale? son buona anch'io di dirle queste cose qui: se fosse venuto Bernardo le avrebbe ben trovate lui le cose da dirsi -; e però quando uscendo dalla prima sala anch'essa in compagnia degli altri, lo trovò lì sull'uscio, si consolò tutta, e pigliandolo per un braccio: - Via, parlategli voi, parlategli, - instava affannosamente, - chè noi non si è saputo dir nulla. -
      Allora egli si pose dinanzi al Conte, e col tuono e colla maniera gelata d'uno che reciti una predica imparata a memoria, cominciava: - Quantunque Lupo... Sebbene quel traviato di mio fratello... - Ma il padre afferrandolo per una spalla gli diede una strappata e gli gridò: - Lascia ch'ei vada in nome di Dio.
      Il padrone sgabellato tirò innanzi, e Bernardo rimase lì goffo al suo posto, ritto ritto, lungo lungo, colle braccia distese giù per le coscie, guardandogli dietro colla bocca aperta.
     
     
     
      CAPITOLO XIV
     
      Intanto nelle sale della festa, splendenti della luce d'innumerevoli doppieri, che si ripercoteva saltante e variata dall'oro e dagli specchi delle pareti, dai monili, dalle corone, dai cinti delle belle danzatrici; fra il gaio tumulto, fra il giocondo strepito dei musicali stromenti, Marco, roso da una segreta cura, coll'animo pieno di una scontentezza inquieta e iraconda, s'indegnava, maledicendo quella scempia allegrezza tanto discordante dall'intonazione dell'animo suo, quella scempia allegrezza alla quale dovea pur mostrare di prender parte. Di tanto in tanto usciva in una camera che metteva alle sale, s'affacciava ad una finestra, guardava giù nel cortile, se mai si vedesse arrivare il conte del Balzo, tendeva l'orecchio, se gli venisse fatto di discernere il rumor dei passi di qualche cavallo dalla via; ma non udiva altro che la romba del festino che si spandeva al di fuori vasta, incessante.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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