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      Tornava al posto di prima a guardare il ballo, a parlar della giostra che doveva aprirsi il domani, a ricever gli auguri e le felicitazioni degli amici pel suo viaggio di Toscana; ma il cuore era sempre altrove.
      Stanco di quel lungo aspettare, talvolta scompariva dallo sguardo dei convitati, si chiudeva nelle sue camere più interne, e faceva forza a sè stesso per rimanervi più lungamente che potesse, nella speranza di trovare, ritornando poi sulle sale, la persona desiderata: alla fine si cacciava a bella posta fra i crocchi più clamorosi per dimenticare il tempo che gli pareva pigro, eterno.
      Avea durato forse due ore in questo tormento, quando il Conte entrò in compagnia della figlia e della sorella. Marco, che in quel punto se ne stava dall'altro capo della sala, vide spuntar la fanciulla pallida, sbattuta, e fu preso da un tale impeto di pietà, d'amore e di sdegno, che lo fece rabbrividire. Nel poco tempo ch'ei pose ad attraversare la sala per andarle incontro, ora gli parea di presentarsi innanzi ad un angelo, ora d'andar incontro ad un nemico; avrebbe voluto prostrarsele ai piedi, avrebbe voluto assalirla con amare parole. Con tutto questo non lasciò trasparir nulla di quel turbamento. Dopo le accoglienze consuete, la zia si tolse Bice per mano, e la condusse fra una brigata di matrone e di donzelle, che furon tutte maravigliate o astiose della beltà della fanciulla, di una certa qual natia purezza ch'ella recava da' suoi monti; d'una semplicità condita d'accorgimento, d'una leggiadrìa involontaria dell'atto, della persona e del volto, sul quale la sollecitudine per la vita d'un uomo spargeva in quel punto un nuovo raggio di recondita bellezza.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





Toscana Conte Bice