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      Galoppava, galoppava, finchè s'accorse d'essere solo. Lo scudiere non aveva potuto seguitarlo nella sfrenata e pazza sua carriera. Sentì il povero animale, che gli alitava sotto gemendo, sfinito dalla fatica, lo vide alla luce del crepuscolo, tutto coperto di spuma, tutto fumante e sanguinoso, vibrar dalle aperte narici il fiato denso largo, infocato; raccolse le briglie, e lo arrestò in una vasta sodaglia abbandonata dove si trovava. Levò gli occhi verso il sole che cominciava a spuntare, e fu tutto contristato da quella vista: gli increbbe la luce del giorno che lo rivelava agli occhi degli uomini, allo stesso suo sguardo: il buio della notte era più conforme al suo dolore; l'anima vi si spaziava per entro, ne occupava tutto il vasto, ritraendone un senso misterioso dell'infinito e dell'eterno, nei cui vortici si perdeva.
      Ma al comparir del giorno, al tornar dell'anima sopra sè stessa, al ricadere nella vita, al trovarsi a fronte la realtà circoscritta e rigida delle cose!... Se non che un pensiero venne a temperare quella incresciosa aridità, a rallegrargli il coraggio: il pensiero che gli rimaneva qualche cosa da fare, che potea vendicarsi.
      Diede una voce al cavallo e si rimise in cammino passo passo, verso un campanile che scorse di lontano soverchiar le cime d'un bosco: quanto più andava innanzi, gli pareva di riconoscere quei contorni. Nel voltare un viottolo ombrato da due file di salci s'abbattè in una villanella, che con una verga in mano si cacciava innanzi la sua vacca e cantava di lena, e le domandò se il paese che si vedeva era Rosate; ma la ragazzetta spaventata mise un grido e cacciossi a fuggir pei campi piangendo.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





Rosate