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      Giunti a Milano, il giovane cavaliere disse a Lupo: - Fra un paio d'ore fa d'essere allo steccato in punto di tutto: mi troverai là; - ciò detto, salutò della mano i suoi due compagni di viaggio, i quali risposero piegandosi fin sul collo delle loro cavalcature.
      Le accoglienze fatte a Lupo, il lettore se le immagina; noi non diremo altro se non che la madre di lui, per la prima volta in vita sua, trovò sconveniente il contegno dell'altro figlio Bernardo, il quale cominciava a rinfacciargli la sua ostinazione nello scisma, volendo inferire che da questa fosse derivato tutto il male che gli era accaduto. - Via, tacete, - diss'ella al suo mignone con aria un po' stizzita, - avrete tempo di dirgliele poi queste cose.
      Lupo domandò tosto dei padroni. Bice s'era messa giù con una grossa febbre, Ermelinda vegliava la figliuola ammalata. - E il Conte?
      - S'è chiuso nelle sue camere, e non vuol veder nessuno, - gli rispose un paggio.
      - Ch'io non gli abbia a poter render grazie? - disse il figlio del falconiere; ed avviandosi su per una scala, attraversò cinque o sei salotti, finchè giunse dinanzi all'uscio che metteva nel quartiere del padrone; e tutti dietro, desiderosi di partecipare a quella letizia, come avean partecipato all'angoscia. Bussò leggermente; e il Conte, il quale dal fracasso udito prima nel cortile, poi dal rumor dei piedi, e da alcune voci che sentì venir innanzi per le sale, avea indovinato quel che era: - Andate, - badava a dir dal di dentro, - andate, chè non voglio nessuno.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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