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      Con tanta furiaS'urtâr coi petti,
      Ch'un ne morì.
     
      A un punto snudanoEntrambi il brando,
      E fulminandoDi colpi crudi
      Con vece assiduaElmetti e scudi
      Fan risonar.
     
      Ma il grave anelitoFrenando in petto,
      Ecco Folchetto
      Al traditore,
      Con fero giubilo,
      In mezzo al corePianta l'acciar.
     
      Pallida, pallidaDivien la faccia
      Che la minacciaSpira pur anco.
      La destra il miseroSi preme al fianco,
      Vacilla e muor.
     
      Allor nel foderoL'acciar ripone;
      Guarda il baroneChe giace ucciso,
      Nè rasserenasiPertanto il viso
      Del vincitor.
     
     
      All'estremo confin della Spagna,
      Sulla vetta scoscesa d'un monte,
      Che dal piede nell'onde si bagnaAlla verde Provenza di fronte,
      Sorge un chiostro che Bruno fondò.
      Pochi eletti lassuso raccoltiVivon d'erbe e di strane radici,
      Coi capucci calati sui volti,
      Cinto ognun di penosi cilici,
      Che depor finch'ei vive non può.
     
      Sonar gli archi d'un portico acutiFa una squilla a rintocchi percossa:
      L'un con l'altro guardandosi mutiStanno i monaci intorno a una fossa
      Atteggiati di cupo dolor.
      - Chi è quel vecchio che in terra si giaceColle braccia incrociate sul petto? -
      Il tremante chiaror d'una faceGli erra incerto sul volto. - È Folchetto,
      Il baron di Narbona che muor. -
     
      Bianca bianca la barba fluenteDella tunica il cinto gli passa;
      E all'alterno respir, mollementeOndeggiando, or si leva, or s'abbassa,
      Come fanno le spume del mar.
      Ma fra i casti pensieri di morteNella mente del vecchio serena,
      Di quell'ora solenne più forteUn'immagin ribelle balena,
      Cui non valser tant'anni a domar.
     
      Qual la vide nell'ultimo giornoCol crin nero per gli omeri sciolto,


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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