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      Ma quanto al primo, l'avversario medesimo che avea tocca la ferita ne fece le difese, mostrando che la botta gli era stata portata allo scudo, ma che il ferro della lancia sdrucciolando era venuto a conficcarglisi fuor del luogo disegnato, contro l'evidente intenzione del feritore; e quanto all'altro, gli riuscė di giustificarsi col far attestare da un aiutante del campo che il cavallo del suo competitore aveva levato la testa nel punto ch'ei calava la spada.
      In seguito furono nominati anche quelli che si trovavano nelle tende, che erano dieci, sette feriti e tre morti; e venne definito che tutti s'eran portati bene e valorosamente.
      Ma tra i feriti chi ebbe la maggior disdetta, senza essere dei pių malconci, fu il nostro Bronzin Caimo, l'eroe dall'occhio bendato: a costui nel primo scontro, entrando il ferro d'una lancia pel fesso della visiera che lasciava luogo alla veduta, gli s'era conficcato (guardate mo se il diavolo ci mise le corna) proprio nell'occhio scoperto, in quello dal quale avea bene. Buona notte! egli rimase al buio, e, caduto da cavallo, fu menato alla tenda, dove con divota caparbietā non volle levarsi, nč patir che gli fosse levata la fascia dall'occhio che gli rimaneva ancora. Fu riferita la cosa ai giudici, i quali non seppero come decidere. Se ne parlō poi in seguito per un gran pezzo, se ne fece un gran discutere, un acerbo disputare fra i cavalieri e le dame, che lo dicevano un bel caso, collo stesso sapore con cui sentiamo dir talvolta ad un avvocato: questa č una bella causa; ad un medico: questa č una bella malattia; ogni avviso aveva i suoi campioni; si citavano tutte le leggi romane e quelle di Mosč, autori latini e provenzali, profeti e romanzieri, filosofi e trovatori: si ricorreva agli esempi cavati dalle storie dei sette figli di Amone, d'Amadigi di Gaula, di Girone il Cortese, e d'ogni pių famoso paladino di Francia e d'Inghilterra.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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