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      Egli avea sotto un bel giannetto d'Andalusia a scorza di castagna, non rubesto e terribile come lo stallone del suo avversario; ma pieno di fuoco, sentito, volonteroso, ubbidiente alla mano, alla voce, al cenno, sto per dire al pensiero del suo signore: lo volteggiava con molta maestria, facendogli alzare, sempre camminando, agili capriole e salti, graziose passate e scambi di corvette, sicchè pareva che si preparasse ad un festeggiamento d'armi, ad un carosello piuttosto che ad un affronto mortale.
      Quando fur giunti innanzi al palco del conte del Balzo, Ottorino salutò cortesemente e il padre e la figlia; ma quegli appena diede segno d'essersi accorto di lui, e Bice anch'essa non gli rispose che con un'occhiata timida e fuggitiva; chè in quel punto, tirata come da una malìa prepotente, non potea ritrarre gli occhi dal cavaliere sconosciuto; ella vedeva il ferro della sua lancia lungo, aguzzo, luccicante, e le parea di sentirne la punta fredda in mezzo al cuore, e vi teneva addosso gli occhi come se l'avesse voluto struggere.
      L'ignoto sfidatore, che non s'era mai vôlto da nessuna banda, piegò un cotal poco il capo verso il pergolo del conte del Balzo.
      Compiuto il giro, fu dato il campo ai due competitori, essendosi diviso egualmente fra essi la terra e il sole, come si usava dire, essendo stati cioè collocati l'uno in faccia all'altro, coll'avvedimento, che ambedue fossero egualmente distanti dal centro della lizza, e che i raggi del sole avessero a battere fra essi in modo che il vantaggio e lo sconcio che potea venirne fosse eguale per tutt'e due.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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