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      Dopo pochi momenti uscì un araldo dal padiglione, e gridò: - È vivo.
      Allora il vincitore, che col moto del capo, sempre chiuso nell'elmo, avea accompagnato il ferito mentre lo traevano alla tenda, che non l'avea mai rivolto da quella dopo che ve l'avea visto scomparire, levò una mano al cielo e si rizzò sugli arcioni in un atto che significava manifestamente la sua gioia per quell'annunzio; poscia gittò la lancia, diede di sproni al cavallo ed uscì di galoppo dallo steccato dileguandosi nel bosco dond'era venuto. Lo scudiero di lui, levato lo scudo coperto dall'asta su cui stava confitto, gli tenne dietro.
      Venne poi raccolta da terra la lancia gettata dal cavaliere scomparso, e se ne trovò il ferro spezzato: la maggior parte tenne che si fosse rotto nello scontro, ma vi fu alcuno che avea notato come il cavaliere sconosciuto, al primo sentir gridare dal suo avversario quelle parole: - Viva Marco, - si fosse avvicinato ad un palco, e cacciato il ferro della lancia fra la connessura di due asse. l'avesse messo a leva e fatto saltare, scavezzandolo pel mezzo.
      Tutti eran d'accordo che se la lancia fosse stata salda, la forza del colpo era tale, che avrebbe forato la visiera e passato banda banda il capo dell'abbattuto.
     
     
     
      CAPITOLO XIX
     
      Qui la nostra storia, saltando a piè pari lo spazio d'un mese, ci trasporta fino alla città di Lucca, della quale in quel tempo di mezzo era diventato signore Marco Visconti; ed ecco in qual modo. L'imperatore, costretto ad abbandonar la Toscana dacchè le cose sue e dell'antipapa erano andate a traverso, prima di darle l'addio s'era ingegnato di cavarne tutto quel che poteva, e fra tanti bei ritrovamenti, uno dei più leggiadri era stato quello di vendere le città amiche a danaro contante.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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