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      Fattasi ora già tarda, data licenza ai consiglieri e alla nobiltà della sua nuova Corte, il Visconte passeggiava in un vasto salone del palazzo del Comune, stato pochi mesi prima abitato dal famoso suo amico Castruccio, volgendo di tanto in tanto gli occhi verso una finestra gotica che rispondeva sulla piazza, dalla qual finestra si scopriva qualche torre, qualche guglia splendente allora d'un'infinità di lumi; giù nella piazza un gran falò spandeva un chiaror rosso e mal fermo sul popolo che vi si agitava d'intorno, che vi banchettava gozzovigliando, che cantava rispetti e canzoni in lode del novello signore: in lontananza, su per le colline curvate in giro una quantità di baldorie; dappertutto un concerto di campane che sonavano a doppio o a festa.
      Marco si fermò un momento a contemplare quello spettacolo, come uno sposo che contempla in una festa l'adorna e lieta bellezza della sua giovine sposa il primo dì delle nozze; quindi togliendosi dalla finestra gli vennero levati gli occhi ad un ritratto di Castruccio che pendeva dalla parete sopra al camino, e quella vista gli guastò ogni gioia, gli scompigliò tutto l'incanto; accostossi ad un seggiolone, vi sedette, e tenendo tuttavia gli occhi nell'effigie dell'amico, morto pochi mesi prima, diceva fra sè:
      - A Roma, quando pieno di vita e di gloria egli era l'occhio destro dell'imperatore, quando tutte le città guelfe, e il re Roberto, e il papa, tremavano al suo nome, quand'io sentiva l'orgoglio d'essergli amico, e sperava per opera sua d'ottener la signoria di Milano, se fosse venuto un indovino a dirgli: "Castruccio, fra pochi mesi tutto sarà finito, e tu starai sotterra"; che annunzio! fresco d'anni e di vigore, nel fior della potenza.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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