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      - Chi nol sapesse, parresti tu il capitano, e il Visconte un bagaglione, una pagamorta.
      - Chi dice che Marco Visconti sia un galuppo? - soggiunse l'altro. - Egli è un soldato che ce n'è pochi, ed ora che è morto messer Castracane, lo tengo, se volete, il primo capitano d'Italia; ma questo che ha a fare coll'aver bisogno noi della sua licenza?
      - Ha a fare, - entrò a dire l'altro tedesco, - che il capitano d'una banda ha il comando della sua gente, e una compagnia che non vuol passar per soldataglia, sta alla disciplina.
      - Ebbene, la nostra disciplina è così fatta, - replicò il primo, - a noi la legge non la pon chi vuole. Finchè non tocchiam le paghe, e quel di più che ci fu promesso per farci venir quaggiù, i padroni siamo noi, e Marco non è signor di Lucca che per la ragione d'esser nostro capo.
      - Dunque, se messer Marco è vostro capo, - riprese l'Alamanno del presidio, - non avete a dipendere da lui?
      - Come sei materiale! - seguiva l'altro, - è nostro capo, e non è nostro capo; l'abbiamo eletto noi altri così per ogni buon rispetto, per adattarci ai pregiudizi della gente, perchè se una banda va senza capitano così alla buona, senza rompere il capo a nessuno colle trombette e coi tamburi, si chiaman ladri; ma se i ladri vengono in fila pulito, con dinanzi uno che abbia una catena d'oro al collo, e uno spianatoio da lasagne in mano, se un d'essi porta un cencio infilzato in cima a un'asta, se assordano il prossimo con trombe e timballi, allora son guerrieri, si fanno loro le sberrettate, e si spalancan le porte.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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