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      Pel cammino s'abbatterono in altre brigate che partite dai paesi dei contorni, s'avviavano alla stessa volta, e tutti erano provveduti di viveri e d'armi, secondo il potere.
      Giugnendo in Milano, vi trovarono il popolo in faccende a scavar ridotti e fossati, a levar muraglie, a fabbricar macchine: le strade brulicavano d'artefici, d'uomini di guerra, di preti, di frati bigi e bianchi e neri: sulle piazze e sui crocicchi eran piantate fucine posticce d'armaiuoli, e si lavorava a gara movendo mantici, volgendo il ferro colle tanaglie sulle brage sfavillanti, battendolo sulle incudini, tuffandolo stridente nell'acqua: al sonar dei martelli, al dirugginir delle lime, alle grida, ai canti degli artefici e degli spettatori, si mesceva un rumor lungo di tamburi, uno squillo di trombe e di campane che non ristavano dal martellar giorno e notte per tutte le chiese della cittą.
      La truppa dei Limontini, entrando in Milano, avea spiegato il suo stendardo bianco con una cicogna nel mezzo, che ha un pastorale nel becco ed una mitra ai piedi; l'arme del monastero di Sant'Ambrogio. Il curato andava innanzi, e lo seguitavano a due a due i suoi popolani variamente vestiti; quale in casacca, quale in farsetto, con gabbani e tabarroni di lana, o di pelli d'orso o di pecora; con berrette e cappucci di pił fogge; armati di ronche, di partigiane, di daghe e d'archi, con uno scudo di polito frassino che portavan dietro le spalle, e un largo coltello col manico d'osso nel taschino a manritta sotto la serra delle brache, che i nostri statuti, con quel latino vernacolo d'allora, chiamavano coltellum de garono, coltello da coscia.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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