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      Invece d'andare a Castelletto s'andava a Rosate nel castello di Marco Visconti, sotto le unghie del Pelagrua; lo scudiero del Conte che stava con Bice era nient'altro che quel traditore che s'era venduto già da un pezzo al Pelagrua medesimo, e il corriere era un cagnotto di Lodrisio, come lo erano i sei uomini venuti dal Seprio: tutti gli avvenimenti del dì innanzi e di quella notte erano stati preparati dai due bricconi in capo per rapir Bice allo sposo. Il fine ch'essi s'eran proposto era d'averla in mano per tenerla a comandamento di Marco; ma si volea fare il colpo senza dare un grande spavento a madonna, senza che ella s'accorgesse a dirittura d'essere in forza altrui, per tenerla quieta, e prepararla poi, un po' alla volta, a quello a che l'avean destinata.
      Lasciato pertanto da banda il primo pensiero d'assaltare a viva forza Ottorino e i due di sua scorta che gli eran fedeli, dopo aver posto molti partiti, si fondarono su quello che abbiam visto messo ad effetto, di staccare il giovane dalla sposa collo scaltrimento di una finta lettera di Marco. Quanto a Lupo avean divisato poi, come fosse stata ben oltre la notte, di mandarlo a pigliare fingendo un ordine del suo signore; ma non bisognò, come s'è veduto, ch'egli medesimo andò da sè a mettersi in trappola a Castel Seprio, come avea già fatto il padrone; e così la tranelleria venne liscia come un giunco. Restava l'altro scudiere del Conte, che non avea le mani in quell'assassinamento: ma che pensiero poteva egli dare un uomo solo, senza sospetto alcuno, in mezzo a tanti?


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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