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      Il Pelagrua, chi avesse voglia di conoscerlo di persona, era un uomo di cinquant'anni, di mezzana statura, asciutto e scarso delle membra; le guancie, d'uno smorto livido, non si colorivano, non si alteravano mai per cosa al mondo. Due lunghe sopracciglia folte e grigie gli adombravano due occhi neri, fulminanti, che non c'era verso si potessero accordare coll'umiltà della fronte in cui eran piantati; due occhi indomabili, ineducabili, con una significazione crudele di malignità e di superbia; due occhi diabolici, che avrebbero sbugiardato il viso d'un santo anacoreta. Entrando, li portava onestamente vôlti a terra in atto rimesso, ma li rilevava qualche volta gettandoli a dritta e a manca colla rapidità e collo sfolgorare del baleno e parea che scappassero dall'incontrarsi negli sguardi altrui, come il ladro che ha paura d'esser côlto sul furto.
      S'appressò a Bice, pose un ginocchio in terra, e chinando il capo: - Degnatevi, madonna, - le diceva, - d'accettare l'omaggio d'un vostro abbietto vassallo, il guardiano di Castelletto.
      - L'ha dunque affidata a voi la custodia di questa sua signoria?
      - Sì, mia signora; così potessi sperare di gradire all'illustre e graziosa donna e sovrana del mio nobile padrone, cui ho data la fede e il cuore per tutta la vita, come, la sua mercè, fui sempre accetto a lui.
      - Levatevi, - disse allora Bice.
      Il Pelagrua obbedì, ed essa continuava:
      - Il mio sposo e signore elegge i suoi fedeli, io non posso che aver in grado sempre e pienamente ogni sua scelta.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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