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      Ma via, - soggiunse poi, - finchè il mestiere lo fo, voglio farlo con garbo e con grazia: allegramente dunque; diavolo! dove s'è mai visto che un buffone abbia a imbietolire a questo modo, e parlar pietoso come un francescano, non che come un canonico? è una vergogna codesta, è un vitupero del berretto e del liuto. - Qui fece un inchino, e partì cantando:
     
      Menestrello ed uom di Corte
      Sempre in canti e in allegria,
      Alle prese colla morteRide in faccia all'agonia;
      È festevole e giocondoSe crollar vedesse il mondo.
     
      Il Conte gli tenne dietro, e raggiuntolo sotto il portico, gli mise una mano sulla spalla, e gli disse: - Senti, Tremacoldo, in tutto questo tempo che ti adopri per noi, avrai bisogno... si sa bene... non sei ricco, e non è da averne a male; - e così dicendo gli voleva lasciar scorrer in seno una borsa di danaro, ma egli, dando indietro due passi, e ritraendo le mani, e nascondendole dietro la schiena: - No, - diceva, - oggi non piglio nulla; cioè non oggi com'oggi, per questa cosa qui non voglio nulla.
      - Se invece di danaro gradissi più...
      - Nè danaro, nè nulla: guardate se non son ricco: ho ancora un pezzo di quella catenella che mi fu regalata da Ottorino, - e gliela mostrava, chè la portava appesa al collo: se non avessi altro, un anello al giorno c'è da scialarla; sicchè vedete che ho il fornaio acconciato per un bel pezzo. Ciò detto, saltò sul suo cavallo, ch'era quello guadagnato, o per dir meglio statogli regalato da Arnaldo Vitale, il dì che avea corso con lui alla quintana, s'avviò di passo verso il ponte, e ripigliando la cobbola interrotta cantava:


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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