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      V'andarono tutti di conserva, e là il giullare fece tante prodezze col liuto e colla voce, trovò rispetti, canzoni e motti sì lieti, sì compagnevoli, sì pazzi, sì adattati all'umore di que' ghiotti spavaldi, che rapì propriamente il cuore di tutti; e quando la sera egli volle andarsene, gli fecero promettere che sarebbe tornato l'altra domenica, che in castello v'era sempre un po' di festa, e si correva la quintana. Si rimase in questo accordo: ma egli prima di uscirne, fiutando, cacciando gli occhi da per tutto, scavando mezza parola dall'uno, mezza dall'altro, aveva avuto agio d'accertarsi che Lupo si trovava veramente là dentro, e stava rinchiuso in un camerotto che rispondeva sulla fossa da tramontana.
      Vien la notte, e il buon giullare tutto chiuso nel suo mantello, è in volta nelle vicinanze del forte; guarda, spia tutto all'intorno, il paese è nero: esce sullo spiano, va diffilato alla finestrella appostata, si fa sentire, si fa conoscere da Lupo, e gli dà intenzione d'esser venuto per liberarlo. La finestrella che guarda da quella parte, è difesa da due enormi ferrate, il muro è sodo, massiccio, e non v'è da farvi su assegnamento.
      - L'uscio che mette nella prigione non è tanto disperato, - diceva Lupo, - che non mi promettessi di levarne una tavola, di sconficcarne il chiavistello, di uscirne in qualche modo; ma e poi? siam da capo, chè fuor di là mi trovo in castello, coi ponti levati, colle porte sempre guardate.
      - A questo studierò io qualche compenso, - rispose il giullare, e gli significò come la domenica avesse a tornare là dentro, e che prima di quel dì sarebbe venuto a vederlo.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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