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      Studia, rumina, combina, il Tremacoldo fece fare due abiti da buffone perfettamente uguali, con certe berrette stravaganti che avean sotto una reticella di seta a maglia assai fitta, la quale poteva tirarsi gił sul volto, e scusare, come sarebbe a dir visiera: nulla potea far caso di quanto si mettessero addosso o dintorno persone il cui mestiere era di far ridere le brigate. La notte che precede la domenica, il Tremacoldo si piglia uno di quei vestiti, una di quelle berrette sotto al braccio, va alla prigione di Lupo, e dallo star sull'orlo della fossa, coll'aiuto d'una pertica, gli fa passar dentro cosa per cosa, dichiarandogli e divisandogli a parte a parte tutto quello che dovesse fare: si concertano insieme, misurano i luoghi, i tempi, stabiliscono i segnali, e buona notte! - A tela ordita Dio manda il filo, - disse il buffone congedandosi.
      Siamo alla mattina della domenica. Il giullare arriva in castello vestito di nuovo con una berretta di foggia capricciosa; tutti gli sono intorno a fargli festa: egli canta, suona, balla, fa' mille giuochi, si tira sul volto quella tal reticella, se la leva, torna a calarla, ridendo e motteggiando sempre. Finalmente vien l'ora in cui s'ha a correr la quintana: i soldati del castello vi si provano a gara con alcuni uomini d'arme d'un forte vicino; come fur fatti alcuni colpi, eccoti il Tremacoldo che si fa innanzi al pił valente lanciatore, profferendosi di correr due lance a prova con lui, e qual fosse giudicato averne il di sopra vincesse il cavallo dell'altro.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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