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      - Ohe! amico! - gli disse con un vocione da toro lo sfidato, ch'era un garzonaccio nero, peloso e brutto come una paura, - non ti dar poi ad intendere di scappolarla via con una baggianata delle tue, come hai fatto laggiù a Milano il dì del torneo, chè non troverai l'avannotto che hai trovato allora: te lo voglio aver detto.
      - Faceva bisogno di dirmelo! - rispose il buffone, - la botte non getta che del vin ch'ell'ha; chi ha mai preteso di trar sangue d'una rapa, e di trovar la gentilezza d'un cavaliere sotto la pelle d'un somaro?
      Tutti risero della zaffata, salvo quel bestione a cui ell'era tocca, il quale stralunando gli occhi guardò in cagnesco il buffone; ma questi senza mostrar punto d'averne filo, gli si fece da presso e con un suo ghigno burlevole:
      - Senti, gioia mia cara, - gli disse, - il giuoco non corre pari; tu hai un cavallo più grosso, cecino mio bello e galante.
      - È vero, è vero, - disse l'un dei capi, - venga un altro cavallo pel Tremacoldo, e il suo si meni in istalla ove starà sequestrato a requisizione dei giudici della quintana. - Fu menato fuori un magnifico baio, era il cavallo stato tolto ad Ottorino. - Ora va bene, - seguitò il giullare, - non c'è più che dire; - e contraffacendo con pazze smorfie l'atto d'un cavaliere che cala la buffa, si tirò sul volto la rete, e gridò che si desse il segnale.
      Suonò una trombetta che fu intesa per tutto il castello, e giunse pure all'orecchio d'un tale a cui nessuno pensava in quel punto là dentro, salvo che il giullare, il quale a quel suono si sentì battere il cuore.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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