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      - Qual mago, qual versiera, qual diavolo dell'inferno ha portato qui sulle corna costui? -, diceva fra sè il doloroso cavaliere, affrettando il palafreno sulla via che menava a Rosate; - che non me ne abbia a riuscir una bene? sempre in disdetta! tutto alla peggio! pianeta impiccato! maladetta influenza che mi domina a questa stagione!... E dove poteva mo essere avviato quel furfante in quell'arnese da viaggio? forse alla volta delle sue montagne?... Anche quei birboni là hanno non so che partite di debito ancora accese; ma verrà il dì che acconceremo la ragione insieme, e me le pagheranno tutte in una volta. -
      Lo scudiero che accompagnava Lodrisio, vedendo il suo signore aggrondato, con una faccia arrapinata e velenosa, non s'arrischiava di batter parola, e lo seguitava quatto quatto, sguardandolo di sottecchi, come un can di pagliaio, che col muso basso e la coda ristretta al ventre, va dietro al padrone, dal quale le ha toccate di fresco.
      E il cavaliere spronava pure, seguitando in cuor suo la rassegna di tutti i tristi pensieri che lo tribolavano in quel punto; e Marco, e Bice, e Ottorino: e come riparar qua, e come provveder là; tanto che giunse a Rosate senza aver mai aperto bocca.
      Come si fu ridotto in una camera appartata in compagnia del Pelagrua: - E così? - gli domandò, - è arrivato l'ultimo corriere da Lucca?
      - È arrivato, ed ecco le carte di Marco, - rispose il castellano porgendogli un plico. Quegli l'aperse, si mise a sedere, e stette un bel pezzo in silenzio leggendo, intanto che l'altro rimaneva lì ritto in piedi colla berretta fra mano.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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