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      Lauretta, seduta ad un tavolino posto fra essa e la padrona, stava lavorando ad un trapunto d'onde questa avea poco prima levata la mano.
      Bice, colla guancia dimessa nella palma, tenea la faccia rivolta verso l'ancella, come se badasse al lavoro; ma l'occhio non avea sguardo, chè l'animo suo in quel momento era tutto fra le ombre d'un terrore segreto.
      Finalmente sorse in piedi, e si mosse verso un verone spalancato: l'andar suo era lento e faticoso; appoggiò i gomiti sul parapetto, e stette alcun tempo in silenzio guardando. Il sole cadente, mezzo ascoso fra le più alte cime d'un bosco lontano, tingea la vasta uniforme pianura frapposta d'una luce squallida, inerte, non rotta da altro che da rade inamabili ombre d'un qualche salcio che sorgeva qua e là per l'uliginoso terreno. L'aria greve e morta era piena d'uno sterminato, noioso gracidar di rane: dai pantani, dai lagumi, dai canneti, dai paludacci che occupavano tutta quella campagna, quanto era grande, si allungava frattanto un nebbione grigio, che, stendendo a poco a poco un velo sugli oggetti vicini, offuscava più sempre di mano in mano quelli che si venivano scostando, e toglieva affatto la vista dei più lontani. Alcuni raggi di sole attraversavano da prima a fatica quel freddo e crasso nuvolone; ma si venivano ad ogni poco smorzando e ritraendo indietro, a somiglianza degli sguardi d'un agonizzante; finchè soverchiando i vapori, e cadendo il sole, ogni luce fu spenta, e parve il chiudersi degli occhi dell'uomo nella morte.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484