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      ... E che sì, che anche quell'altro imbroglio del rapimento di Bice è sua orditura?... E io, a vedere che doveva pure accorgermi di qualcosa ier mattina quando l'ho scontrato... squadrarmi da capo a piedi, e poi stringer l'occhio allo scudiere... E quel ghigno? trovarlo propriamente sulla bocca di quella forca, nel momento che mi veniva incontro come un can mastino per farmi la pelle... Ma va là, che ci hai avuto spasso, te lo so dir io... Fu un bel colpo, per diana! ziffe! e giù per terra come uno spicchio di mellone. To' su, porta via, e impara a stuzzicare il can che giace. -
      Intanto si faceva giorno; cominciava a comparire sulla strada qualche passeggiere, e si vedevano i villani coi loro arnesi in collo avviarsi alla segatura. Lupo, confortato dall'apparir della luce, dall'aspetto dei campi, dalla vista delle persone e degli animali che vi si movean per entro, dimenticò ben presto il pericolo corso, le busse date e toccate: e seguitava innanzi tutto rifatto, col pensiero vôlto unicamente a Marco e alla strada che gli rimaneva da correre prima di trovarlo; allorquando sentì un gran parapiglia in una vigna sulla sua mancina. - Dàlli, dàlli! ferma, ferma! - e vide ad un punto una frotta di contadini seguitare, correndo alla rinfusa, un uomo a cavallo che andava a precipizio a traverso le campagne. Sapete chi era? era quel galantuomo dell'osteria, quel terzo scampato per miracolo dalle mani del nostro Limontino. Il corridore che avea sotto, uno stallone ombroso e senza freno, che, se vi ricorda, s'era strappata anche la cavezza, faceva il diavolo e peggio, spiccava salti spaventosi, la dava a traverso i filari, scavezzando pali, disertando viti; e il gridare e l'accorrere, e lo strepitar dei villani, lo rendevan sempre più furibondo e imperversato.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





Bice Marco Limontino