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      Al primo rinvenire, la fanciulla apriva gli occhi, e li richiudeva tostamente, portandovi una mano per difenderli dalla luce, dolorosa in quel primo incontro, dopo le lunghe ore passate nella più fitta oscurità del carcere da cui era stata tolta.
      L'ancella chiuse subito le imposte; poi tornata a sedersi a canto alla padrona, l'abbracciava piangendo, e chiamandola per nome. Ella sentì l'impressione di quelle lagrime, riconobbe quella voce, ed aprendo un'altra volta gli occhi, la stette guardando qualche tempo come smemorata, e poi disse:
      - Sei tu, Lauretta?
      - Sì, son io, non abbiate sospetto di nulla; siamo liberate, state di buon animo.
      Ma ella, che non apprendeva ancor bene il senso delle parole, domandava paurosamente:
      - Dove sono iti quei manigoldi?... Hanno pur fracassato l'uscio della prigione, ho pur intese le lor grida, e sentiti i colpi dei loro pugnali nella persona... Oh dimmi, non m'hanno dunque uccisa?... mi pareva d'esser morta, e che mi portassero a seppellire in mezzo a tanta gente, con tanti lumi d'intorno... Era notte; e come s'è fatto giorno chiaro in un tratto? e dove siamo noi adesso?
      - Siamo nelle camere della nostra buona castellana; siamo libere, vi dico; è stato lo stesso Marco che è venuto...
      Il suono di quel nome terribile fu come il tocco d'un ferro rovente, che fa risentire un tramortito. Bice balzò a sedere sul letto, e diceva: - Fuggiamo! fuggiamo! nascondimi, salvami, salvami per pietà!
      - Oh no, Dio! tranquillatevi: Marco non è qui; e poi, state sicura, non entrerà in queste camere persona che voi non vogliate.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





Lauretta Marco Dio Marco