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      - Senti, figlia mia, - le disse il padre, - Ottorino non è ancor giunto, ma l'aspettiamo prima che sia giorno.
      Ella si conturbò tutta, e rispose: - Ottorino! il mio sposo! il mio caro sposo!... Oh, se il Signore m'avesse fatto tanta grazia!... se avessi potuto vederlo prima di morire!
      - Via, offritelo a Lui, - disse il pio monaco, - offritelo a Lui che ve l'avea dato; e adorate l'eterno consiglio di giustizia e di pietà, che accetta questo sacrificio del cuore ad espiazione delle vostre colpe, a rimedio dell'anima vostra.
      La poveretta congiunse le palme, e levò gli occhi al cielo in atto di viva sì, ma dolorosa rassegnazione; ma Ermelinda, posandole una mano sul capo: - Oh figlia mia! - esclamava, - oh cara la mia figlia! ch'io t'abbia dunque a perdere! che mi rimane a questo mondo senza di te, ch'eri il mio conforto, la mia sola consolazione!
      La fanciulla chinò il capo, e pianse: dopo un momento ripigliava singhiozzando:
      - Consolazione! avete detto? e che consolazione avete mai avuta da questa miserabile, che colla sua protervia ha seminato tante spine sul sentiero della vostra vita?... Oh cara madre! io non ve ne chieggo perdono, perchè so che mi avete già perdonato tutto; e voi pure, padre mio, e voi pure m'avete perdonato, è vero?
      Ermelinda e il Conte soffocati dal pianto non potevano formar parola: stettero tutti qualche tempo in silenzio. Intanto l'ancella, dopo aver porto all'inferma non so che bevanda ristoratrice, erasi adagiata sulla seggiola a canto al letto, e vinta dalla stanchezza e dal disagio a poco a poco chinava il capo sulle coltri e s'addormentava.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





Ermelinda Conte