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      Gli occhi erano asciutti e immoti, il volto torvo e scomposto; sulla fronte spaziosa, che corrugavasi ad ora ad ora con una rapida contrazione quasi di spasimo, si affacciavano e discorrevano, dirò così, i fantasmi dei truci pensieri che si succedean nella sua mente.
      Dopo qualche tempo egli s'accorse del giovane che l'avea seguitato lassù, e che ritto in piedi poco discosto da lui, lo stava guardando in silenzio, e gli disse:
      - Perchè l'hai abbandonata?...
      - Ella si sta nelle mani dei suoi parenti, - rispose Ottorino.
      - È vero, - tornava a dire il Visconte, - a noi non si conviene il restarsi a piangere, quando ci è da operare. Ora scendi da questa scala: al primo pianerottolo è la camera del giudice, digli che mi mandi qui il Pelagrua, chè voglio interrogarlo io, e tu ritorna pure con lui, chè mi giova d'averti qui.
      Ottorino parve esitare un momento, e Marco indovinando tosto il suo pensiero:
      - Va fidatamente, - gli replicò: - questo avanzo di vita so che non è mio, finchè ho dei torti da riparare, finchè mi rimane sull'anima un debito di sangue. Quando il dolore sarà pagato col dolore... quando... Ma no, Marco non morrà della morte dei vili, disperando come un miscredente.
      Il giovane partì, ed egli si rimase colle braccia avvolte sul petto ad aspettare che il Pelagrua gli fosse condotto dinanzi.
      Il Pelagrua trovavasi allora in castello. Diremo come se ne fosse allontanato, e come vi ritornasse.
      Dopo il colloquio ch'egli e Lodrisio, ebbero con Bice, i due furfanti avean capito essere impossibile che potessero mai cavar da quella infelice verun sesto pel loro scellerato disegno; e vedendola poi di dì in dì scemar sempre di forze e svenire, si risolvettero al tutto di liberarsi da lei, la quale non diventava nelle loro mani che un ingombro, un fastidio pericoloso.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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