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      Il castellano di Rosate, secondo l'intesa, la notte stessa che Marco era giunto a Milano, e propriamente nel tempo ch'egli stava favellando con Ermelinda, rintanò la sposa d'Ottorino e la sua ancella nel sotterraneo in cui divisava di lasciarle morire; poscia se n'era ito a Fallavecchia, un paesello vicino a Rosate, ove mantenea una certa sua tresca, ed ivi fermossi fino a giorno avanzato.
      Tornando poi in castello, lontano, potete ben pensare, dal figurarsi le novità che intanto v'erano accadute, fu preso. Interrogato dal giudice, dapprima parlava alto, ma quando intese che Marco era giunto, era lì, che Bice era stata trovata, s'accusò morto.
      Due guardie se lo presero in mezzo e lo fecero salire sulla torre: egli, ad ogni scalino che faceva, si andava raccomandando ad Ottorino, il quale gli veniva dietro, perchè l'aiutasse, perchè lo salvasse dalla prima furia del suo padrone. Giunto nel cospetto di questo, gli si buttò dinanzi in ginocchio, e tremando e battendo i denti, balbettava interrottamente: - Misericordia! misericordia!... Io ho creduto... non fu per mal animo... solo che voleva... ma è stato Lodrisio... Lodrisio che m'ha precipitato... Perdonatemi... e vi dirò... e vedrete...
      Ma il Visconte, dopo aver gettato uno sguardo d'ira e di abborrimento su quel miserabile, invece di dargli ascolto si mise a scorrere un fascio di carte che una delle due guardie gli avea messo fra le mani per parte del giudice; levando poi gli occhi da quelle, fece segno ai soldati che si ritraessero; quindi porse ad Ottorino tutto il plico tal quale stava, e gli disse: - Sono le tue lettere state trovate nella camera di quella poveretta.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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