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      Per Milano, per la Lombardia, per tutta Italia, si parlò poi in cento modi della fine di quel glorioso capitano. La storia tenebrosa del suo amore si frammischiò diversamente, come era da immaginarsi, a quella della sua morte: si credette da alcuni, o si mostrò di credere per adulare i potenti, cui premea troppo di levarsi d'addosso quell'infamia, che Marco medesimo, dopo d'aver uccisa Bice per furor di gelosia, si fosse poi per disperazione pugnalato di sua mano, e gettatosi da sè dalla finestra del palazzo. Queste voci furono raccolte e tramandate da qualche scrittore contemporaneo, o troppo corrivo, o troppo timido amico della verità. L'Azario, più riserbato, dice che intorno alla sua morte non si può dir nulla di certo; e che del resto gli veniva dato carico di molte cose che non eran vere, e se ne tacevan molte di vere(7).
      Ma fuori di Lombardia, dove non giugnea il terrore dei Visconti, nessuno dubitò che Marco non fosse stato assassinato per comando del nipote e dei fratelli di lui. Giovanni Villani, per tacer degli altri, Giovanni Villani, che avea conosciuto famigliarmente il nostro Marco a Firenze, ed avea avuto a trattar seco più volte per le cose di Lucca, lo dice chiaramente; ed anzi viene a render ragione dell'oscurità, dell'incertezza, che si trova, nei nostri cronisti intorno a questo punto, coll'aggiunger subito le seguenti notabili parole: "Di questa disonesta morte di Messer Marco, i Melanesi per comune furono molto turbati, ma nullo n'osò parlare per paura".
      Noi, per far conoscere quello che se ne pensasse a Lucca a quel tempo, o per dirlo con più esattezza quel che ne pensasse un menestrello di Lucca, riporteremo qui una Serventese che fu cantata a un banchetto di cavalieri il giorno che giunse colà quella nuova.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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