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      Così fra gli accordi e la mensa ospitale fatta imbandire dal Serafini si era arrivati a notte avanzata, e il Guelfi volle passare le poche ore che lo separavano dalla partenza nel conversare col Grande che così inopinatamente gli era stato avvicinato dalla fortuna. Furono queste alcune ore di amichevole colloquio che Angiolo Guelfi non dimenticò finchè visse. L'animo suo fiero, leale, entusiasta di libertà si beava nell'anima grande del Garibaldi, e soleva dire di poi che vi erano in quell'anima connesse la natura del guerriero indomito, a quella della delicata fanciulla. Parlarono di tante cose, ma più che tutto delle presenti miserie della patria, e delle speranze future. Una volta cadde il discorso sulla possibile eventualità che il piano ideato pel salvamento fosse scoperto, il Guelfi arrestato; e il Generale traendosi da tergo un pugnale glielo mostrò sorridendo e gli disse: "Vedete, Capitano, che non mi prenderanno mai vivo." E lo chiamava con modo familiare così, sapendolo capitano della Guardia Nazionale di Scarlino. - Vi erano nella camera in cui si erano ritirati il Garibaldi ed il Guelfi alcuni giornali provveduti dal Serafini, che riflettendo l'indirizzo reazionario del Governo Granducale non mancavano d'ingiurie e di calunnie ai caduti. Garibaldi lesse fra le altre la stolta notizia avere esso rapito e portato seco il tesoro della Repubblica Romana in dieci milioni, e dopo avere estratto dalla tasca lo stesso borsellino col quale voleva pagare il mugnaio Pispola, lo mostrava al Guelfi, e gli diceva ridendo: "Capitano, ecco i miei milioni.


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Dal Molino di Cerbaia a Cala Martina
Notizie inedite sulla vita di Garibaldi
di Guelfo Guelfi
Salvatore Landi Firenze
1889 pagine 102

   





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