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      La ira di Dio non può tanto essersi accesa contro di noi, da toglierci ogni anima onesta, ed amica di virtù. In qualche orecchio si fa sentire ancora il divino precetto: diligite justitiam qui judicatis terram. Che io poi creda così, lo provo con lo accingermi, malgrado i vani terrori, a dettare con animo tranquillo questa mia difesa.
      La Legge, o il costume forense, indulgendo alla umana debolezza, consentono al condannato da una sentenza di maladirla tre giorni. Questo privilegio dato dalla pietà al dolore, comecchè ingiusto, è misera cosa, ed io lo disprezzo. Intendo a scopo più nobile, ed uso del diritto di agitare la mia causa davanti al tribunale della pubblica opinione. Nessuno, per potente che sia, o si estimi tale, può opporre la declinatoria a questa suprema magistratura: nessuno può mandare satelliti a chiuderne le sale, però che essa tenga le sue sedute nella coscienza degli uomini; non abbia uscieri, nè cancellieri, nè soprastanti, ma commetta lo adempimento dei suoi decreti nelle mani della Provvidenza; e questa, lenta talora, inevitabile sempre, gli manda ad esecuzione.
     
     
     
     
      CONSIDERAZIONI GENERALI.
     
     
      I.
     
      Metodo adoperato dall'Accusa.
     
      Con maraviglia pari al dolore io vidi praticato dal Decreto della Camera di Consiglio del 10 giugno 1850 un metodo apertamente nemico agli acquisti della civiltà, agli insegnamenti della scienza, e ai dettati di pubblicisti gravissimi. Mi confortarono a meglio sperare in giudici più esperti, ed io sperai; ma il Decreto della Camera delle Accuse del 7 gennaio 1851, per ammenda ai falli commessi, aggiunse dottrine ricavate dalle leggi imperiali, quando la tirannide, spenta la libertà, sospettò dei cenni, convertì in delitto i sospiri, e, credendo gittare eterne le fondamenta alla mala signoria, scavò la fossa alla virtù latina, e apparecchiò la strada al trionfo dei Barbari.


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Apologia della vita politica
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Editore Firenze
1851 pagine 1183

   





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