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      Lamenta, lamenta, anima mia. - Le muse i genii, le fate e Apollo cessarono; ogni altra lieta immaginazione cessò; il dolore che prima di essi inspirava i canti degli uomini, il dolore che soppravvive ai sepolcri, il dolore che apre e serra le porte della vita, il dolore che regge la misura del tempo..., eterna, unica musa dell'uomo è il dolore.
      Troppo innanzi tempo imparai a diffidare di molte, forze di tutte le speranze umane: io vivo in mezzo agli uomini; ma per me non chiedo, non ispero nè temo nulla da loro. E che mai potreste darmi, o gente che morirete? L'odio, la prigione, l'esiglio? Me gli avete già dati; e furono come la pietra lanciata in aria dal pazzo, che ritornò a percuoterlo sopra la testa. La compassione? Oh! trangugiate per voi cotesta tazza di aceto e di fiele: io posso sopportare il vostro odio, la vostra pietà non potrei; serbatela per voi, che voi, come me, aveste nascimento e avete la vita e avrete la morte; in voi, come in me, stanno le malattie del corpo, le imbecillità dello spirito, gli errori, i dolori, i trascorsi e le colpe.
      Ingombra questa nostra terra, infelice una gente la quale, o prostrata dagli anni, o torpida di fibra, o per pinguedine fastidiosa, o cieca ad un punto e codarda, penosamente si strascina per lo esilio breve della vita e va gridando a quelli che precorrono: Adagio, adagio; nella quiete sta sicurezza. Qual mai sicurezza? E non sapete voi che la vita è un correre alla morte? La quiete non è vita. Trapassare da una in altra vicenda, agitarsi incessante nel tripudio e nell'affanno, percuotere ed essere percosso, amare, odiare, ora angiolo, ora demonio, e verme e Dio.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





Apollo Dio