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      Cornelio Agrippa steso ai piedi di lui pensava: - Sta lieto, Carlo, con due dita di lama di Cordova tu potrai fare un assai lungo viaggio. -
      Quale indugio è mai questo? I miei momenti sono secoli per gli altri: ogni istante della imperiale nostra vita contiene il destino di cento generazioni. Che fa egli questo neghittoso di papa? s'egli non istà pronto ai nostri cenni, noi lo rimanderemo come un veterano invalido...
      - E così favellando alzò i piedi per balzare, sicchè forte percosse con uno nella bocca all'Agrippa, e poi correndo ad afferrare un campanello lo agitò violentemente a più riprese.
      Cornelio, sorgendo e con la mano tentandosi le labbra per vedere se lo avesse ferito, mormorava rabbioso: "Cane di Fiamingo, tu paghi le verità da re, - impiccando chi te le dice, - e le menzogne da sacerdote, con le promesse! Un giorno o l'altro, io faccio conto che tu abbia a inventare le indulgenze imperiali. Superbo e misero, io ti avrei lasciato e ti lascerò forse tra poco pel tuo emulo Francesco di Francia; un imbecille coronato al par di te, ma più prodigo di quello che rapisce ai suoi popoli: - trattanto io mi compiaccio di tormentarti... ho qui in tasca sei congiunzioni di stelle tutte funeste per te... per ora va' lieto a prendere la corona; per oggi il tuo demonio ti scioglie la catena: - ungiti del crisma; poi, unto o no, con la corona o senza, tu non sarai meno il trastullo dei miei ozii fantastici."
      Comparve alla subita chiamata il signore di Rodi, maggiordomo maggiore; il quale, semiaperta la porta, sporgeva il capo e parte del petto, non osando penetrare più oltre.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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