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      - Il signor Giovannino con alquanti cavalli leggieri si pose alla caccia dei Tedeschi nel serraglio di Mantova. - I nemici, che lo chiamavano il gran diavolo, - tanto si mostrava nelle zuffe avventato e feroce, - si danno scorati alla fuga: - noi proseguiamo ardentissimi quella, più che battaglia, beccheria; - la strage della gente tedesca ci giungendo gradita, non come di nemici vinti, sibbene come di genia bestiale, oscena peste del mondo. Uno di questi scomunicati, mole gigantesca di mala carne, all'improvviso volta faccia a me che lo inseguiva, e tale mi scarica a traverso un colpo di mazza d'arme che mi avrebbe schiacciato il capo come un pinocchio. - Lupo era leggiero in cotesti tempi; mi abbandonai pertanto sul dorso del cavallo, spronai oltre e lo colsi così impetuoso della punta nel ventre che lo passai fuor fuora meglio di un palmo dal tergo. - Qui sento picchiarmi sulla corazza: - pensando vicino un nuovo nemico, mi volto con truce proponimento, e vedo il capitano Giovanni, il quale al cenno aggiungendo le parole: Prode Lupo, favellò, domani ti promoveremo a sergente delle nostre milizie... - Appena i suoi labbri tacevano che lo vidi, atterrato per forza prepotente, avvilupparsi nella polvere; - accorsi a rilevarlo, ed egli: Cristo! esclamò, la stessa gamba di Pavia: ormai è destinata a rimanere sul campo. - E così come disse fu: una palla di falconetto gli aveva rotto sopra il ginocchio la medesima gamba destra che al Barco di Pavia, scaramucciando, gli ferirono sconciamente verso la noce.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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