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      A me bisogna rimanere in patria o morto o vivo.
      Già non intendeva io consigliarvi ad abbandonarla, sibbene rimanervi lontano finchè durano i pericoli della guerra.
      Lontano o vicino, i pericoli della patria mi riuscirebbero del pari dolorosi e forse più gravi stando lontano, perchè accresciuti dall'ansia, dall'incertezza e dal timore. E che? Manca forse vigore a queste braccia per adoperarle in difesa del mio paese? Quella guerra è invincibile dove combattono per soldati il vecchio di sessant'anni e il giovanetto di quindici. Me avventuroso se potrò dare al dolce loco natio gli estremi giorni di questa mia vita angustiata per mille dolori! Scaverò ai fossi, porterò terra ai bastioni, porgerò le armi ai combattenti; - e, ogni via di salute disperata, precipitando dall'alto apporterò con la mia la morte di qualche nemico. Se, come spero, le ragioni della patria prevarranno, mi sarà di conforto nel morire il pensiero che la mia diletta figliuola sia commessa alla fede di madre amantissima, - voglio dire Fiorenza. - Se invece, (disperda Cristo l'augurio); rimane spenta la libertà, il vivere che monta? Tra morire e vivere da schiavo la differenza è questa: i morti non sentono nulla, i vivi si consumano sotto il peso delle catene. Lena mia, ti faccio manifesto il mio testamento alla presenza di questi valenti uomini; dove il lione coronato rimanga insegna della Repubblica, tu vivi, serbati agli affetti di sposa, - alle santissime cure di madre; se le palle trionfano... eccoti... prendi questo coltello.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





Fiorenza Cristo Repubblica