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      Inoltre il gonfaloniere Francesco Carducci tanto più volentieri aveva adunato la Pratica in quanto che col chiamarci uomini di varie fazioni pensò potere conseguire che, trattando domesticamente tra loro, venissero a dimettere alquanto della scambievole selvatichezza ed accordarsi in pro della patria comune: o se non riusciva a persuaderli di fare di per sè stessi questo bene, convenissero almeno a confermare il gonfalonierato di lui, il quale avrebbe molto acconciamente saputo provvedere alla comune salvezza. Pensò ancora di acquistarsi grazia nell'universale; però che, sebbene si sentisse atto a grandi cose; non ignorava essere giunto a quel sommo grado con sorpresa di tutti e sua, scemargli il credito le poche fortune, il fallimento della sua ragione mercantile in Ispagna, il parentado, comunque illustre (che si vantava discendente di san Giovanni Gualberto, antico barone del contado e galantuomo davvero), oggi ridotto in pochi ed umili capi. Le quali cose, come vedremo, il Carducci non solo non ottenne, ma invece acquistò le contrarie; - colpa non sua, sibbene della fortuna, la quale delle due faccie che gli umani casi presentano, sorridendo all'una, è cagione che l'altra, malgrado gli argomenti umani, vada in rovina.
      Nelle stanze della Signoria assai prima che la campana, detta la Tonaia, chiamasse i cittadini in Palazzo, egli aveva convocato uomini di ogni maniera faziosi. Erano andati prontissimi tutti Iacopo Nardi, Michelangelo Buonarotti, Bernardo da Castiglione, Zanobi Buondelmonti, Lorenzo Cambi ed altri non pochi per amore di libertà: Zanobi Bartolini e Ludovico Capponi per iscoprire gli umori e governarsi a seconda del vento; Luigi della Stufa, Matteo Nicolini, Ottaviano dei Medici, Luca degli Albizzi, Franceso Antonio Nori per paura, tenendo scopertamente per le palle.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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