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      Con quanta speranza io mi moveva da casa, e come avvilito vi rientrava! Verun cenno apparve alle finestre mai; mai vidi sporgere un capo il quale indicasse intendere all'amoroso lamento; io conduceva tristissimi giorni disperato della vita. Certa volta che dopo lunga e sempre vana dimora mi era fermato a novellare con certo archibusiere della contrada, io mi tornava a capo basso, dolente; giunto che fui allo estremo della via sul punto di scantonare, una ispirazione interna mi disse: volgi la testa, - ed io di subito mi voltai: una figura si ritrasse dalla loggia alta della casa, veloce più che mano non si allontana dal ferro rovente; - amore aguzza lo sguardo, ed io la riconobbi... era ben dessa, e ne piansi di gioja. - Deh! in cortesia, monsignore, vogliatemi perdonare s'io vi trattengo con la storia di siffatte quisquilie... Se sapeste però come taglienti me le abbia incise la memoria nel cervello... se lo sapeste! non vi dirò come trovassimo modo a favellarci; non vi dirò nemmeno come per una serie di eventi ora tristi ora lieti e sempre pieni di passione venisse lo istante nel quale la fanciulla, vinto il pudore verginale, mi confessava: Io ti amo... Io vi giuro, monsignore... in che vi giurerò io? Non conosco più nulla di sacro nella terra o nel cielo. E pure gli angioli avrebbero potuto senza velarsi gli occhi con le ale contemplare cotesti colloquii, imperciocchè le parole e gli atti vi fossero casti quanto quelli ch'essi alternano in paradiso. Io ti amo! ella mi disse: ora, quando anche vi avessi fede, la vita futura non m'ispira speranze nè terrore; il gaudio dei santi e i tormenti dei reprobi io gli ho provati.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163