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      Cencio, e se un bel giorno io mi destassi virtuoso?
      Voi non potete destarvi virtuoso, perchè la virtù non è un vestito per modo che si possa dire: - Cencio, aiutami a levarmi questo giubbone di ribaldo da dosso e ponmi la zimarra di uomo onesto; - no, non si può dire: le virtù non nascono mica come le natte sul naso, elle sono un fiore con molta cura nudrito, su terra acconcia educato; con amore continuo difeso; - all'età nostra può caderci in mente la paura dell'inferno o quella molta più prossima del capestro, e rimanerci da misfare; - tuttavolta ciò non si chiama virtù. Ma lasciate di grazia coteste ubbie, vedete mo' come il demonio vi spiana la strada; e' sarebbe ingratitudine inaudita a disertarne la bandiera; e senza il diabolico aiuto a questa ora chi sa quante volte sareste capitato male se io non era, forse il mazziere metteva gli occhi sopra la lettera del papa...
      Dov'è la lettera?
      Qui sopra la tavola; io l'ho ricoperta con la zimarra di velluto.
      Tu meriti ch'io ti faccia imbalsamare: - porgimela; d'ora in poi non mi uscirà di dosso.
      E se la ripose insieme colla borsa nella tasca laterale delle larghe brache alla spagnuola. Quindi, tremante o di gioia o di qualsivoglia altra passione che adesso non importa ricercare, ordinò a Cencio lo vestisse con gli abiti meglio sontuosi che serbasse entro i suoi forzieri.
      Cencio, questa cappa mi pesa.
      Pesano più quelle che Dante pone addosso agl'ipocriti nell'inferno.
      Marrano! - taci una volta, - tu godi a spaventarmi.
      Io lo faccio perchè l'inferno non vi appaia affatto nuovo quando ci entrerete.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





Cencio Dante