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      Dove nella sua fanciullezza non l'avessero atterrita con le storie di luoghi pieni di pianto, di fuoco e di furore, il talamo nuziale avrebbe ella già convertito in bara; - avrebbe reciso i suoi giorni in offerta al Dio del dolore siccome fa la vergine della lunga chioma, quando abbandona il mondo per la solitudine del chiostro.
      Nessuno la rammenterebbe adesso; - sarebbe scomparsa fugace quanto la promessa della felicità, - quanto il voto dell'amore; - avrebbe vissuto la vita dell'anemone svelto sull'alba, la vita del grano d'incenso caduto sul fuoco, - profumo breve e poi oblio.
      Ora chiunque la contempla geme per lei, perocchè ella sia bella e trista a vedersi come la rovina degli antichi tempii dell'Attica, rovina di marmo pario, di colonne corintie, di capitelli dalle foglie di acanto, di frammenti di statue di Fidia - maraviglia dell'arte, - pianto del cuore; e la mestizia le si diffonde tenace sul volto nel modo stesso che l'edera s'insinua ingombrando quei ruderi di tempii e di numi.
      Si volse alla creatura e le domandò una stilla di refrigerio alla pena che durava; la creatura o folleggiava lieta e non volle contristarsi per lei, o piangere per sè e non volle cederle nè anche una lagrima; - allora si volse al cielo, e quinci le venne una rugiada sull'anima, perchè la religione le aveva detto abitare nei cieli una divinità che fu anch'essa creatura umana ed infelice.
      Ella se ne sta raccolta dentro la cappella domestica, - un luogo tristo quanto i suoi pensieri; - con le sue mani ella stessa l'aveva addobbata a lutto.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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