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      I vincitori, seguendo l'usato costume, davano a beccare alla putta, che in favella di giuocatori significava sottrarre con bel garbo il danaro che la vittoria accumulava davanti a loro, e ripostolo in tasca, davano a intendere che poco o nulla avessero guadagnato, sicchè avveniva che perdessero tutti, e, a crederli, si sarebbe pensato il demonio, nascosto sotto il tappeto, si dilettasse operare cotesta sparizione.
      Andiamo via!
      esclamò il principe con voce cavernosa uscitagli dalla gola e non modulata dai labbri; "questi sono gli ultimi scudi ch'io abbia sulla persona."
      Don Ferrante Gonzaga gli rispondeva:
      Principe, così vi veggo costantemente sfortunato al giuoco che, se il proverbio italiano non falla, vorrei consigliare ogni gentiluomo a non vi lasciare corteggiare la sua dama.
      Pel corpo dei re Magi di Colonia! io perdo al giuoco e non vinco in amore: qui non occorrono altre donne che villane, le quali saliscono alla mia tenda passando per tutti i gradi della milizia, dal fante fino al colonnello.... Inoltre, don Ferrante, come non ho voglia d'imitare nell'arme il degno nostro avversario signore Malatesta Baglioni, così intendo non imitarlo in amore, perchè.... Sta a me, porgetemi i dadi. - Pari! tentiamo se una volta indovino.... tre e tre sei.... ho indovinato!
      Dispari!
      replicò Baracone della Nava prendendo i dadi e li traendo a sua posta; "sei e cinque, - pace."
      Al diavolo questi dadi! - Datemene altri... Pari!
      e scaraventa il principe con ira i nuovi dadi sopra la tavola, i quali, poichè alquanto ebbero ruzzolato, si fermarono e mostrarono un cinque e un quattro.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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