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      La pratica adunata per la resa terminò coll'occuparsi a disegnare modi e provvedimenti di resistenza; - il Carduccio licenziava Vico con ordine di riposarsi e tornare all'ufficio dei Dieci di libertà e pace alle due ore di notte.
      Vico, sceso dal palazzo dei Signori, raggiunse il fante che gli teneva il cavallo su la piazza dalla parte della dogana, e stava per mettere il piede nella staffa, quando lì presso vennero a passare due cittadini vestiti a lutto, uno dei quali diceva in suono di angoscia:
      Non me ne darò mai pace....
      E l'altro consolando:
      Confortatevi, - noi siamo quasi tronchi di legni gettati nell'Arno; - passa il tronco con le acque che lo menano; - la vita e il tempo si sciolgono nella eternità....
      Sì, - ma il frutto, prima di essere maturo, non dovrebbe cadere.
      Certo eglino erano il fiore della cavalleria... pur che volete? Ora non possiamo far altro che lodare le virtù loro ed imitarle....
      Affrettiamo il passo, perchè temo forte che non giungeremo a tempo per udire la predica del Foiano.
      Vico, spinto da curiosità, tolse il piede dalla staffa, e ordinato al famiglio si recasse a casa, governasse i cavalli, e gli alimenti che si era portato allestisse, si mise dietro ai due cittadini, - li raggiunse a mezza piazza, e cortesemente salutatili, domandò in grazia il nome dei cavalieri che per quello ne aveva udito pareva fossero rimasti uccisi; - della sua ignoranza lo tenesse appo loro scusato l'essere giunto poc'anzi da Empoli, dove in pro della Repubblica si affaticava.
      O figliuolo mio


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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